Spinto dalla crescita nelle vendite oltre frontiera di vino, salumi e formaggi, con aumenti stimati da Nomisma Agrifood Monitor compresi tra il +7% del vino e il +9% dei formaggi, l’export agroalimentare italiano si appresta a sfondare entro la fine dell’anno i 40 miliardi di euro: una crescita del 6% sul 2016.
Passando ai mercati di destinazione, sono soprattutto i Paesi extra Ue (seppure rappresentino ancora meno del 35% del totale) ad evidenziare i tassi di crescita più elevati. In testa Russia e Cina, verso cui sono cresciute del 20% le vendite di prodotti agroalimentari italiani, anche se il loro peso relativo rimanga piuttosto marginale: meno del 2%. In linea invece con la media di settore le esportazioni verso Nord America e Paesi Ue.
Secondo il report Nomisma permangono squilibri significativi: il 60% delle vendite all’estero italiane fanno infatti riferimento ad appena 4 regioni del nord: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte; al contrario, tutto il sud vale solo il 20%. A favorire le regioni più forti, la presenza di imprese di dimensioni maggiori, di reti infrastrutturali più sviluppate, nonché di produzioni alimentari più “market oriented”.
Considerando anche la ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale (+1,1% le vendite alimentari nei primi 9 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016), il 2017 si configura come un anno di forte sviluppo per le imprese della filiera, che, dalla produzione agricola alla distribuzione al dettaglio fino alla ristorazione vale oltre 130 miliardi di euro di valore aggiunto: il 9% del Pil italiano. Un comparto tanto più importante se si considera la sua capacità di tenuta anche durante la crisi: dal 2008 ad oggi il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è cresciuto del 16%, contro un calo di oltre l’1% del settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal 2015.