Per le regioni si va dai 60 euro mensili della Sardegna ai 104 dell’Emilia Romagna mentre per le città si passa dai 32 euro di Barletta ai 128 di Livorno. È questo il costo medio per le famiglie del servizio di refezione scolastica nelle scuole primarie secondo un dossier elaborato da Cittadinanzattiva.
Nel quale emergono problemi a livello di manutenzione e sicurezza, con distacchi di intonaco e l’assenza di porte antipanico mentre un istituto su dieci poi non ha un vero e proprio spazio mensa e i pasti vengono consumati in corridoi o aule. Ma ciò che ai bambini piace meno è il rumore (56%), gli ambienti poco accoglienti (37%) e per nulla allegri (43%). Il cibo viene però giudicato di buona qualità: il 63% dei piccoli lo promuove, premiando in primis la convivialità del consumo con i compagni (93%). Tuttavia, solo il 13% dice di mangiare tutto, il 36% solo alcuni cibi, in particolare dolci e gelato (80%), pizza (78%), pane (61%), carne e frutta fresca (58%), pasta al sugo (47%). Fra i cibi meno graditi, verdure cotte (70%), minestre di verdure (60%), pesce e verdure crude (54%).
Fra quelli che non amano mangiare a scuola, il motivo per due bimbi su tre è la monotonia del cibo, per circa la metà la scarsità delle porzioni, per uno su tre la fretta con cui bisogna mangiare e i modi bruschi del personale.
Per quanto attiene alla vexata quaestio del pasto da casa, in attesa della sentenza della Cassazione e di una regolamentazione da parte del Miur, molte scuole si sono attrezzate con tavoli separati. Ma il fenomeno lungo lo Stivale resta marginale, con 24 famiglie su mille che l’hanno scelto, secondo un’indagine dell’Anci. Solo a Torino, dove è iniziata la battaglia per il panino a scuola, è in cresciuto ma riguarda soprattutto le famiglie benestanti più che quelle in difficoltà o indigenti. Forse che si tratti giusto di una moda a cui tendono maggiormente le classi medie?