I lavoratori potranno cumulare i buoni pasto alla cassa di supermercati bar e ristoranti: il Ministero dello Sviluppo economico ha preparato un decreto regolamentare per disciplinare l’utilizzo dei sostituti di mensa, passaggio tecnico previsto dall’articolo 144 del nuovo Codice degli appalti, che norma i contratti pubblici. Ebbene, i titolari di buoni pasto potranno staccarne o strisciarne (per le versioni elettroniche) fino a dieci contemporaneamente.
Prima di arrivare alla stesura definitiva, il dicastero ha chiesto il parere di Anac e Consiglio di Stato: da entrambi è arrivato un sostanziale via libera, al di là di qualche piccola richiesta di modifica che potrebbe esser accolta dal ministero.
Si tratta con ogni evidenza di un ulteriore passo verso lo snaturamento di questo strumento, caldeggiato dalla grande distribuzione organizzata ma con effetti negativi per bar e ristoranti. Un portato manco a dirlo della nuova realtà economica plasmata dalla Grande Crisi e dalla difficile uscita al tunnel che si profila per fortuna all’orizzonte per l’Italia (nonostante una crescita ben più modesta di quella media dell’Ue), che negli ultimi anni ha portato parecchi lavoratori a utilizzare questo strumento di pagamento del pasto come “salario accessorio”. A tale riguardo, il Consiglio di Stato suggerisce di correggere il limite dei buoni cumulabili per evitare “effetti non propriamente neutri sulle diverse categorie di esercizi” e rischi derivanti dallo “snaturamento delle caratteristiche del buono pasto”, che deve rimanere un titolo “rappresentativo del servizio sostitutivo di mensa” e non può essere usato come “una sorta di buono spesa universale e surrogato del danaro contante”.
Non vi è dubbio infatti che il via libera ufficiale alla possibilità di cumulo dei buoni avrà l’effetto di incentivarne ulteriormente l’utilizzo a mo’ di “salvagente” per “fare la spesa”: secondo Anseb, la principale associazione delle aziende emettitrici, a fronte di 2,5 milioni di lavoratori tra settore pubblico (900mila) e privato (1,6 milioni) che li ricevono, sono oltre 120mila gli esercizi che accettano i buoni, che in un anno muovono 3 miliardi di euro di giro d’affari se si considera il loro valore facciale.
Nel decreto in preparazione, il Mise ha poi deciso di non introdurre l’obbligo di indicazione sul sostituto di mensa del nominativo del titolare “in un’ottica di semplificazione” che non deve altresì pregiudicarne l’accertamento, assicurato dal persistente obbligo di firma del possessore del buono quando ne faccia uso. Sui ticket verranno quindi indicati: la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione; il valore facciale; il termine temporale di utilizzo; uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell’esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato; la dicitura “Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di dieci (o altro limite se il Mise accoglierà i suggerimenti del Consiglio di Stato, ndr), né commercializzabile, né convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.
Tra le altre cose, il provvedimento in elaborazione prevede che non si potrà applicare agli esercenti uno “sconto incondizionato” superiore a quello applicato dalle società in sede di aggiudicazione dell’appalto di fornitura dei buoni. Come osservato dall’Anac, anche il Mise intende limitare i servizi aggiuntivi “solo a quelli che consistono in prestazioni ulteriori rispetto all’oggetto principale della gara e abbiano un’oggettiva e diretta connessione intrinseca con l’oggetto della gara”, al fine di impedire l’aumento indiscriminato dei detti servizi supplementari che gli emettitori dei buoni chiedono agli esercenti, con l’effetto di far ricadere su questi ultimi il costo dei ribassi con i quali le società si erano aggiudicate gli appalti.